Dopo quasi due anni di chiusura, lo storico laboratorio di restauro dell’Archivio di Stato di Firenze ha ripreso la sua attività. La tanto attesa ripartenza è stata resa possibile dall’arrivo di due restauratrici inviate da Ales S.p.A., società in-house del Ministero della Cultura, grazie ad un progetto di supporto, nel settore della conservazione dei beni archivistici, per gli Archivi di Stato e le Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, i cui laboratori da molti anni vivono una situazione di grave difficoltà a causa dei numerosi pensionamenti che hanno ridotto drasticamente il personale.
Era davvero desolante vedere gli ambienti inutilizzati del grande laboratorio allestito nell’edificio di Italo Gamberini che, dal 1989, costituisce la nuova sede dell’Archivio di Stato di Firenze.
Nel palazzo degli Uffizi, dove l’Istituto aveva sede fin dalla sua fondazione nel 1852, è attestata l’esistenza di un laboratorio di restauro già nel 1922, come dimostra il registro del Laboratorio restauri. Registro dei lavori fatti di riparatura e legatura libri dal 1° gennaio 1922 al […] dall’usciere Martinelli, che riporta il numero dell’unità, il nome della persona intervenuta e qualche accenno alle operazioni messe in atto. Tra queste viene citata molto spesso la “ricucitura” o la “rilegatura” del documento, talvolta si parla di nuove coperte in mezza tela, pelle o pergamena, ogni tanto di “restauro”. Nel registro, che arriva con qualche interruzione al 1957, venivano annotate anche le attività che oggi definiremmo di cartotecnica e compaiono i nomi di Antonio Panella e Sergio Camerani, futuro direttore dell’Archivio, che presumiamo si rivolgessero al laboratorio per prendere “in carico” cartoncini, schede o buste utilizzate per lo svolgimento dei lavori di riordino della documentazione.
Naturalmente la formazione degli addetti alle attività di restauro non era quella dei nostri attuali professionisti. Si diventava restauratori attraverso la pratica assidua in laboratorio o cercando di frequentare personale con esperienza. In una lettera inviata dal dottor De Rubertis, archivista del Regio Archivio di Stato, al Ministero dell’Interno, si chiede, “nell’interesse del servizio”, che “l’usciere Emilio Martinelli, il quale attende con la migliore volontà al restauro dei documenti logori” possa recarsi presso il laboratorio annesso all’Archivio di Stato di Roma “per perfezionarsi” (ASFi, Archivio della Soprintendenza agli archivi toscani poi Archivio di Stato di Firenze, 1923, filza 429, fasc. n. 244). Il nome di Emilio Martinelli torna molte volte nelle descrizioni del registro e, nella relazione annuale fornita al Ministero nel 1928 (ibid., 1929, filza 446, titolo VI, fasc. 1), tra i servizi prestati dall’usciere, compare quello di “legatore e restauratore al Laboratorio pel restauro di documenti e rilegatura di filze, registri e libri” e ancora, nella consueta relazione per il 1936, si legge che “il laboratorio funziona giornalmente per opera dell’usciere Martinelli” (ibid., 1937, filza 469, titolo I, fasc. 1).
Alla vigilia della tragica alluvione di Firenze del 1966, che rappresentò nonostante tutto un momento di svolta per la nascita e lo sviluppo del restauro in Italia e per le vicende dell’Archivio, nel laboratorio erano presenti le seguenti attrezzature, in parte ancora oggi esposte e conservate nei locali dell’Istituto: “una cesaia in ferro tagliacartoni”, un “tagliacarte a ruota” e una “pressa di ferro” acquistate nel 1954; un “compositore con caratteri di bronzo e paletta” per la doratura acquistato nel 1922; una “spianatrice in ferro con 2 rulli cilindrici” acquistata nel 1900; uno “strettoio in legno a vite” e un “telaio per rilegare libri” acquistati “nel secolo scorso” (ibid., 1965, filza 553, titolo I, fasc. 1, Relazione per l’anno 1965).
Se però già nel 1957 si lamentava la progressiva riduzione del personale, sappiamo dalla relazione per l’anno 1965, che a quella data non risulta più personale dell’Archivio che si occupa del servizio di legatoria e restauro. I lavori, probabilmente eseguiti all’interno del laboratorio, sono portati avanti da ditte private.
L’alluvione di Firenze fu un avvenimento disastroso, con un forte impatto emotivo e culturale che, come abbiamo già accennato, fu all’origine dello sviluppo di numerose istituzioni e realtà che ancora oggi si occupano della conservazione e della salvaguardia dei beni culturali nella città.
Nel palazzo degli Uffizi 250 sale situate al primo piano, nei mezzanini, al piano terreno e nei contigui edifici della Dogana e dei Veliti, erano occupate da circa 60 chilometri di documentazione. Il 4 novembre 1966 l’Arno straripò invadendo in breve tempo 40 sale poste al piano terreno e sommergendo fino all’altezza di 2 metri la scaffalatura in cui era collocata documentazione antica e moderna, di natura giudiziaria e amministrativa, archivi di corporazioni religiose soppresse e di alcuni istituti di assistenza e ospedali. Si calcolò allora per difetto, nell’immediatezza dell’evento, il danneggiamento di circa 45.000 pezzi, appartenenti a 46 fondi archivistici di varia epoca, ma, considerando anche la documentazione non ancora inventariata, l’entità del danno aumentava fino a raggiungere le oltre 50.000 unità. Il lavoro di totale ricognizione del materiale alluvionato, compiuto tra il 1970 e il 1987, fece emergere ulteriori 13.000 unità che non erano state censite. Con esse, tenuto conto degli oltre 11.000 pezzi andati distrutti o dispersi, in quanto non più riconoscibili, si arrivò a calcolare un’entità complessiva di circa 70.000 pezzi alluvionati.
Già dal giorno successivo all’alluvione, si era affiancato al personale dell’Archivio un primo gruppo di studiosi, fra i più assidui frequentatori dell’Istituto, che riuscì a convogliare anche verso l’Archivio di Stato un gran numero di volontari, già impegnati ad aiutare la Biblioteca nazionale. Dagli istituti archivistici più vicini, per primo quello di Perugia, giunse altro personale per spostare i documenti dai depositi allagati, disponendone una gran parte all’aperto, sotto i loggiati degli Uffizi. Successivamente la documentazione fu trasportata con i mezzi dell’Esercito in vari locali di deposito che si reperirono nelle vicine sedi istituzionali, come la Sezione di Archivio di Stato di Prato, e negli spazi messi a disposizione da altre amministrazioni, da istituti religiosi, da associazioni e da privati imprenditori della zona di Prato, nei magazzini dei propri stabilimenti. Tra il novembre e il dicembre 1966 vennero allestiti centri di deposito per l’asciugatura del materiale alluvionato nella Sezione di Prato, nell’Archivio di Stato di Arezzo, presso la Manifattura Tabacchi e nell’Archivio di Stato di Perugia, mentre agli Uffizi il personale e i volontari iniziarono subito a intervenire sulle filze umide con carta assorbente e stecche di legno e a riordinare e riunire le tante carte rimaste sciolte in maniera confusa. Era la prima volta che si doveva far fronte ad una mole di lavoro così complessa e di grande quantità. Non si aveva alcuna esperienza su come effettuare una rapida asciugatura del materiale, salvaguardandone il contenuto e i materiali costitutivi, e furono sperimentati diversi metodi di essicazione, non tutti con risultati eccellenti. Nella Sezione di Prato fu allestito un primo centro di essicazione dove le filze venivano appoggiate aperte su reticolati di speciale materiale plastico, montati su telai in legno o tesi fra gli scaffali per poi essere asciugate con lampade a raggi infrarossi. Ad Arezzo e Perugia fu sperimentata l’asciugatura all’aria, sia tramite carte stese su fili che con aria calda diffusa da stufe a gas, in depositi dove le filze venivano disposte aperte su palchetti di legno. La Manifattura Tabacchi di Perugia non era sufficientemente ampia per essiccare in tempi rapidi tutta la documentazione inviata e furono così presi contatti con il consorzio tabacchicultori di San Giustino Umbro dove furono trasferite circa 38.000 filze.
Nonostante la solidarietà ricevuta nel periodo immediatamente successivo all’alluvione, nell’offrire locali e mezzi per il recupero dei documenti, le operazioni successive di natura tecnico-scientifica specialistica, come il riconoscimento e il restauro della documentazione più danneggiata, dovevano essere sostenute da adeguati finanziamenti. La somma iniziale di 5 milioni di lire stanziata dal Ministero dell’interno, da cui dipendeva l’amministrazione archivistica, poteva coprire appena gli acquisti di materiale e i servizi per le operazioni di salvataggio. Molto più importanti e fondamentali furono gli aiuti finanziari che l’UNESCO offrì per il recupero del patrimonio artistico e culturale di Firenze che furono indirizzati anche all’Archivio di Stato.
Una delle principali iniziative fu la costituzione del CRIA – Committee to Rescue Italian Arts – che si appoggiava alla sede fiorentina dell’Harvard University a Villa I Tatti, con cui furono retribuiti per tre anni giovani borsisti stranieri che si dedicarono a tempo pieno, presso l’Archivio di Stato, a riconoscere schede e numerare i pezzi d’archivio recuperati, specialmente dei fondi più antichi.
A poco meno di un anno dall’alluvione, a partire dal giugno 1967, allo scopo di iniziare a trattare il materiale che via via rientrava in sede, fu possibile allestire un piccolo laboratorio di legatura e restauro nei locali annessi al Salone Magliabechiano, che fu dotato di personale tecnico e attrezzature, e la cui direzione fu affidata a Francesca Morandini. Tutto questo fu reso possibile dagli ulteriori finanziamenti statali, dai finanziamenti dell’UNESCO, dal contributo del Fondo internazionale per gli aiuti a Firenze e dal contributo della Fondazione Wolkswagen. Il Centro Nordico, cui aderivano i paesi della Scandinavia, inviò a proprie spese 18 restauratori che prestarono il loro lavoro all’Archivio di Stato per periodi da uno a tre mesi mentre il Comitato inglese inviò due restauratori del Public Record Office di Londra.
Poiché ci si rese conto fin da subito che i locali presentavano spazi troppo piccoli per far fronte alle esigenze di restauro in grande scala che si prospettavano, fu trovato un ambiente molto più ampio e adatto nel cosiddetto Salone Palatino, posto dietro gli Uffizi, sotto il Salone Magliabechiano, dove i complessi lavori di sistemazione durarono circa 18 mesi sotto la direzione tecnica della Soprintendenza ai monumenti. Il laboratorio iniziò a funzionare nel luglio del 1968 e presentava una superficie di 900 mq, diviso in settori da bassi muretti e cristalli, con uno spazio vicino all’ingresso per il deposito dei pezzi alluvionati, riconosciuti e pronti per la lavorazione. L’ambiente era organizzato sulla base delle operazioni di intervento: le attività preliminari, quali la numerazione delle carte, la scucitura e la pulitura a secco; il lavaggio e la deacidificazione; l’asciugatura, il rattoppo e/o il mending e la velinatura; infine la legatura. Quest’ultima veniva realizzata rispettando le caratteristiche della tradizionale legatura archivistica, applicando spesso una coperta nuova, considerato che molte di quelle originali erano state staccate per facilitare le operazioni di asciugatura e non fu sempre possibile ricondurle all’unità di appartenenza. Un percorso particolare riguardava i volumi in pergamena, le cui carte, che si presentavano saldate tra loro, venivano distaccate nel reparto del lavaggio, con l’uso di vapore acqueo o avvolgendole per 24 ore in strofinacci ben strizzati, intrisi di acqua. Ultimate tutte le operazioni di restauro, i pezzi passavano al collaudo e da qui venivano ricollocati nei depositi. Sotto la direzione di Francesca Morandini lavoravano operai retribuiti con i fondi CRIA e UNESCO, provenienti da 3 ditte private che si facevano carico dei materiali per il restauro. A questi si aggiunsero due operai assunti dal Ministero attraverso un concorso (1968, filza 570, titolo I, Relazione sul laboratorio di restauro) e 3 addetti, inviati da Roma, che eseguivano per la sezione microfilm la fotoriproduzione a campione della documentazione, prima e dopo il restauro. In questi anni andò infatti organizzandosi anche il servizio di fotoriproduzione grazie ad una moderna apparecchiatura acquistata per l’Archivio dalla Fondazione Wolkswagen(ASFi, Archivio del laboratorio di restauro, F. Morandini, Relazioni Volkswagen settembre 1968 - ottobre 1969).
L’archivio del laboratorio di restauro, riordinato in questi ultimi mesi, ci restituisce informazioni dettagliate sulle modalità operative e sugli apporti scientifici provenienti da numerose realtà. Da Zagabria arrivò a Firenze una “impregnatrice” per il placcaggio o la plastificazione dei documenti, utilizzata in un primo tempo per giornali e libri moderni, ma che poi fu sperimentata anche su materiali più antichi; la direttrice del laboratorio di restauro dell’archivio di Budapest, illustrò ai tecnici fiorentini il macchinario con il quale veniva effettuato il consolidamento della documentazione attraverso l’impregnazione dei supporti con polietilene e carta giapponese (ASFi, Archivio del laboratorio di restauro, L. Haszonos, Relazione dell’Archivio Nazionale di Budapest all’Archivio di Stato di Firenze del 1968).
Nel 1968 i partecipanti al Corso internazionale sul restauro tenutosi a Firenze visitarono il laboratorio apprezzandone la funzionalità. Nel gennaio 1971 entrò in funzione una modernissima cappa di aspirazione e negli anni successivi vennero acquistati nuovi macchinari e attrezzature che venivano affidati alle singole ditte operanti nel laboratorio: uno schedario, ancora conservato in archivio, ne documenta la presa in carico. Nonostante la creazione di un vero e proprio servizio di conservazione, fino al 1969 continuarono a venire inviati in alcuni Archivi nazionali europei (Belgrado, Zagabria, Budapest, Copenaghen, Coblenza, Bruxelles e Oslo) molti documenti, tra filze e registri, specialmente in pergamena, appartenenti ai fondi più antichi, sui quali il restauro fu eseguito con metodi non sempre corretti dal punto di vista filologico e che oggi sono facilmente riconoscibili per il tipo di coperta e legatura realizzate. Sono inoltre documentati numerosi viaggi e occasioni di confronto organizzati da Francesca Morandini con i colleghi italiani e europei, come la visita al laboratorio del Public Record Office di Londra, che resero possibile l’aggiornamento dei nostri restauratori e la condivisione delle esperienze.
Per molti anni l’attività del laboratorio di restauro è stata incentrata sul recupero del materiale alluvionato ed è proseguita, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, la collaborazione del personale interno con i restauratori privati che potevano usufruire degli spazi e delle attrezzature del grande laboratorio fiorentino. Nella Relazione 1995 si legge che dall’inizio dell’emergenza a quella data furono restaurati 5.096 pezzi di materiale alluvionato per un totale di 1.234.003 carte, oltre a 7.399 piante.
Il progetto della nuova sede dell’Archivio in piazza Beccaria tenne senz’altro conto dell’esigenza di portare avanti il lavoro sul materiale colpito dall’alluvione e fu creato uno spazio moderno e all’avanguardia dove furono trasferite, alla fine degli anni ’80, tutte le attrezzature degli Uffizi e fu acquistato qualche nuovo macchinario: il laboratorio, situato su due piani, terreno e ballatoio, occupava una superficie di 882 mq.
Nel 2000 il personale assegnato contava 5 assistenti restauratori, 3 operai tecnici specializzati e 1 addetto alle lavorazioni, ai quali si aggiungevano i restauratori privati che collaboravano con l’Archivio. Negli ultimi vent’anni, la riduzione del personale e dei fondi ministeriali destinati al restauro ha rallentato progressivamente l’attività. Il laboratorio ha continuato, in ogni caso, ad essere un punto di riferimento per la formazione dei restauratori di beni archivistici, in Italia e in Europa: fino a quando è stato possibile si è proseguito ad organizzare attività di tirocinio e stages formativi, attraverso convenzioni con le Università e gli Istituti culturali, per offrire agli studenti la possibilità di recepire “sul campo” l’esperienza del grande Laboratorio. Il numero esiguo di tecnici all’interno dell’amministrazione ha però determinato la riduzione dei lavori di vero e proprio restauro e anche lo spazio destinato al laboratorio si è ridotto rispetto all’allestimento iniziale. Negli ultimi anni, il lavoro sul materiale alluvionato è proseguito attraverso progetti mirati, affidati a ditte esterne, mentre gli ultimi tecnici presenti si occupavano della gestione quotidiana della documentazione, attività fondamentale per il funzionamento di un grande istituto archivistico come quello di Firenze, frequentato ogni anno da un alto numero di studiosi.
L’attività del laboratorio è stata documentata, a partire dalla fine degli anni Sessanta, attraverso la compilazione di schede di restauro e documentazione fotografica che oggi costituiscono un patrimonio di informazioni davvero preziose. Recentemente è stato avviato un progetto di informatizzazione delle schede di restauro cartacee allo scopo di rendere più agevole l’accesso alle informazioni contenute e fornire un quadro preciso delle unità che sono state oggetto di intervento. Il progetto prevede l’inserimento dei dati significativi, tratti dalle schede, all’interno di una banca dati che potrà essere consultata in occasione di nuovi interventi e che permetterà di risalire alla documentazione fotografica, se presente. Ad essa si affiancherà la nuova documentazione digitale prodotta in occasione dei recenti interventi di restauro, affidati a professionisti e laboratori esterni, e, naturalmente, la documentazione prodotta dal nostro laboratorio che oggi finalmente ha ripreso la sua attività.
Per saperne di più
Bibliografia
Nell’Archivio del laboratorio di restauro dell’Archivio di Stato di Firenze:
F. Morandini, Relazione sulla visita al Public Record Office di Londra, 7- 21 giugno 1967
F. Morandini, Relazioni Volkswagen settembre 1968 - ottobre 1969
L. Haszonos, Relazione dell’Archivio Nazionale di Budapest all’Archivio di Stato di Firenze del 1968
N. B. Isenberg - R.C. Mueller, Resoconto dei lavori effettuati dai borsisti della CRIA dal 1° settembre 1970 al 31 luglio 1971
O. Signorini Paolini, L’alluvione di Firenze e il restauro di libri e documenti – Relazione presentata alla 7a conferenza Biennale dell’ECARBICA, Harare 13-18 settembre 1982
L. Maccabruni, L’alluvione nell’Archivio di Stato di Firenze. Il percorso di recupero e il restauro dei documenti, in Firenze 1966-2016 la bellezza salvata, Livorno, Sillabe, 2016
P. Marchi, Il laboratorio di restauro dell’Archivio di Stato di Firenze, in Arno. Fonte di prosperità, fonte di distruzione. Storie del fiume e del territorio nelle carte d’archivio, Firenze, Polistampa, 2016
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