Ho iniziato ad occuparmi degli archivi d’impresa poco prima del 1985, da giovane archivista da poco assunta presso la Soprintendenza archivistica per il Lazio (allora questa era la sua denominazione), coadiuvando la collega Mariella Guercio nella preparazione della Guida agli archivi economici a Roma e nel Lazio, pubblicata nel 1987.
Fin dal 1979, infatti, l’Amministrazione archivistica aveva promosso, in collaborazione con il Comitato per la storia dell’industria del Consiglio nazionale delle ricerche, il censimento degli archivi d’impresa sul territorio nazionale. Tale censimento, affidato alle Soprintendenze archivistiche, aveva l’obiettivo di individuare la documentazione storica delle imprese industriali. Ne scaturirono la Guida citata, una analoga per la Regione Toscana, ed una successiva per la Lombardia. Quell’accordo rese evidente l’importanza degli archivi d’impresa per la ricostruzione della storia economica e sociale del paese, e fu quindi origine e manifestazione di un interesse che non si è mai sopito, da cui sono scaturiti moltissimi altri censimenti, anche settoriali, riversati nel Sistema informativo delle Soprintendenze (Siusa), e tante diverse iniziative, fino all’ideazione e alla realizzazione del Portale degli archivi d’impresa.
Per la preparazione della Guida ho visitato molte realtà produttive presenti sul territorio della nostra Regione: le cartiere di Isola Liri, significative anche come esempi di archeologia industriale, una ditta farmaceutica, la Serono, allora ben presente sul mercato, alcune tipografie, altre realtà industriali di diverso genere….
Nel corso di quel censimento trovammo la conferma della debole struttura economica della Regione, che soffriva di una tardiva industrializzazione, da far risalire a dopo l’Unità d’Italia, e ci fu evidente la scarsa attenzione ai propri patrimoni documentali degli imprenditori che incontrammo. Avemmo anche conferma che la gran parte del tessuto economico-produttivo della Regione e della Capitale era rappresentato dal terziario, e dai grandi enti pubblici con importante funzione economica, nonché dalle grandi aziende a partecipazione statale di dimensione nazionale che ancor oggi hanno la sede legale, giuridica e amministrativa a Roma. Gli archivi di queste realtà, cui fu esteso il censimento, si sono rivelati molto consistenti ed interessanti, ricchi di informazioni sulle vicende economiche ed industriali di tutto il nostro paese. I patrimoni documentari conservati presso gli enti di gestione, quali l’Iri, l’Eni, l’Efim, e presso grande aziende statali quali l’Enel, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, l’Istituto per il commercio con l’estero rappresentano ancor oggi fonti privilegiate per lo studioso di economia, di storia sociale, di storia dell’industria e del sindacato, e di tanti altri argomenti.
Quel primo incontro con gli archivi d’impresa ha poi condizionato tutta la mia vita lavorativa: in tutto il mio percorso di lavoro mi sono sempre occupata, insieme a molto altro, di questi archivi, o di temi che avevano collegamenti con essi, quali l’outsourcing nei servizi archivistici. Molte imprese, infatti, soprattutto quelle bancarie, avevano iniziato ad avvalersi dei servizi degli outsourcers, che mettevano a disposizione spazi e servizi per la conservazione del materiale documentario: imprese anch’esse, che trasferivano nel nostro paese una offerta di mercato nata negli Stati Uniti.
Il fenomeno dell’outsourcing, pratica oggi consolidata e consueta per la quale la conservazione di ingenti patrimoni documentari è affidata ad operatori specializzati, fu affrontato, alla fine degli anni Novanta, dall’Amministrazione archivistica di concerto con l’ANAI, in un gruppo di studio da me coordinato e diretto, che organizzò un seminario sul tema tenutosi presso l’Unioncamere di Roma il 26 marzo 1999, e produsse poi, nel 2001, il volume L’outsourcing nei servizi archivistici. Linee guida per operare una scelta, pubblicato sul sito web della Direzione generale degli archivi. Le Linee guida furono poi aggiornate ed ampliate, con la fondamentale collaborazione di Lara Asta, in una seconda edizione pubblicata nel 2006.
Ripercorrendo la cronologia degli eventi, che testimoniano il sempre maggiore interesse suscitato dagli archivi d’impresa, bisogna ricordare una giornata di studio tenutasi nel dicembre del 1993 su Gli archivi economici a Roma, dove furono presentate alcune relazioni aventi come tema i complessi documentari delle banche e delle assicurazioni, che erano stati esclusi dal censimento della Guida, ma sono da considerarsi a pieno titolo archivi d’impresa. In quell’occasione ho potuto dare una prima notizia relativa al recupero dell’archivio della Società generale immobiliare di lavori di utilità pubblica ed agricola – Sogene.
Il recupero e il successivo deposito di questo archivio presso l’Archivio centrale dello Stato è stato (ed è ancora) per me un motivo di orgoglio, in quanto l’Immobiliare è stata protagonista di più di cento anni di attività edilizia a Roma, a Milano, in Italia e nel mondo (suo il famoso grattacielo Watergate a Washington, solo per citare un esempio). A Roma, l’Immobiliare ha costruito migliaia di case, urbanizzando interi quartieri (ricordo solo Casal Palocco, dove d’altra parte in un capannone abbandonato si trovava gran parte dell’archivio, che col collega Gabriele Parola condizionammo in circa 1.200 casse per trasferirlo all’Archivio centrale dello Stato). Successivamente, ho avuto modo di occuparmi anche dell’archivio storico dell’Istituto autonomo per le case popolari, ora ATER, dove abbiamo sviluppato un progetto per la riproduzione delle planimetrie e dei progetti dell’edilizia popolare, a partire dagli anni della sua istituzione, i primi del Novecento, fino agli Settanta. Ho avuto quindi la possibilità di conoscere e studiare i complessi documentari di questi due enti, l’uno privato, l’altro pubblico, che sono stati protagonisti della crescita urbanistica della Capitale, hanno costruito interi quartieri caratterizzando così il volto odierno della città.
Una bellissima esperienza è stata quella relativa all’archivio storico della Società Birra Peroni. Al tempo del censimento per la Guida era stato dato per disperso, mentre pochi anni dopo è stato recuperato dall’azienda e nel 1996 è stato possibile procedere alla dichiarazione di notevole interesse storico. È nata una proficua collaborazione con l’allora presidente della Società Giorgio Natali, e con Daniela Brignone, archivista responsabile dell’archivio storico, che ha portato al riordinamento della documentazione e alla pubblicazione dell’inventario. Daniela Brignone, con cui è nata un’amicizia sincera, è anche oggi responsabile dell’archivio (ora consultabile sul web), che ha incrementato nel corso del tempo, promuovendo il recupero della documentazione dei diversi stabilimenti dell’azienda.
Un altro censimento che mi ha fatto conoscere un particolare aspetto dell’industrializzazione nel Lazio è stato quello svolto con Francesco Fochetti, archivista libero professionista, anch’egli diventato un amico, nel Distretto industriale di Civita Castellana, nel quale sono state censite le industrie ceramiche del Viterbese, in quel momento numerosissime. Fin dalla più remota antichità in quei luoghi si sfruttava la particolare argilla di tipo caolinico abbondante nelle cave presenti tra Civita Castellana e il monte Soratte per produrre manufatti ceramici, ed ancor oggi sono presenti in quei luoghi industrie ceramiche, specializzate in sanitari, tra le più affermate, che si avvalgono di famosi designer ed esportano in tutto il mondo.
L’attività di vigilanza e il conseguente rapporto sempre più stretto con i responsabili degli archivi delle banche, della Banca d’Italia e dell’ABI, ha portato alla consapevolezza della necessità di elaborare uno strumento per la gestione di questi archivi, soprattutto per quanto riguarda la selezione e lo scarto. Nacque così un altro gruppo di lavoro, sotto l’egida della Direzione generale degli archivi, dell’ABI e della Banca d’Italia, che ha portato alla redazione delle Linee guida per la selezione dei documenti negli archivi delle banche, cui hanno partecipato i responsabili degli archivi delle maggiori banche italiane, la CR di Firenze, il Monte dei Paschi di Siena, l’Unicredit, il San Paolo IMI… Molte di queste non esistono più, sono state inglobate da altre, hanno cambiato nome, ma l’impostazione del documento continua ad essere valida, in quanto lo scopo era soprattutto quello di individuare e segnalare la documentazione destinata alla conservazione illimitata, essenzialmente quella prodotta dalle Direzioni centrali.
Un altro archivio affascinante, ancora troppo poco studiato, è sicuramente quello dell’IMI, Istituto Mobiliare Italiano, cui nell’immediato dopoguerra fu affidata la gestione del così detto Piano Marshall, quando, in attuazione dell’accordo di cooperazione economica del giugno 1948 tra Italia e Stati Uniti, ratificato con l. 4 agosto 1948, n. 1108, venne avviato il programma di ricostruzione economica europea (ERP). I contatti con i responsabili hanno portato alla realizzazione del progetto di ordinamento e alla creazione del vero e proprio Archivio storico in locali dedicati e ben attrezzati ad Acilia, periferia sud di Roma. L’archivio contiene sorprese meravigliose, soprattutto nella serie dei Mutui, che venivano concessi dietro presentazione di richieste e progetti. I finanziamenti venivano erogati dopo puntuali relazioni dei funzionari dell’Istituto, che valutavano l’affidabilità dell’impresa richiedente e la possibilità di realizzazione del progetto stesso: da queste Relazioni si possono conoscere le condizioni delle maggiori aziende italiane, quali Fiat, Ferragamo, San Giorgio di Genova, Innocenti, Ilva... La serie dei Mutui è stata oggetto di una schedatura informatica, un progetto piuttosto all’avanguardia a metà degli anni Novanta.
Un momento particolare, che mi ha coinvolto profondamente, fu quello delle privatizzazioni, quando, a seguito delle così dette leggi Amato, (l. 30 luglio 1990, n. 218 e d. lg. 20 novembre 1990, n. 356), gli istituti di credito vengono trasformati in società per azioni. Molti di questi istituti erano enti di diritto pubblico, e come conseguenza della loro trasformazione sono nate le fondazioni bancarie, cui, all’origine, fu attribuita la proprietà delle azioni.
Con il d. l. 11 luglio 1992, n. 333 furono trasformati in società per azioni anche l’Enel, l’Iri, l’Eni, l’Ina, fino a quel momento enti pubblici. Furono trasformati in società anche altri enti, quali l’Azienda di Stato per i servizi telefonici, le Ferrovie dello Stato, le Poste, la Cassa depositi e prestiti, che facevano parte dell’amministrazione dello Stato e i cui patrimoni documentari erano demaniali. Per un lungo periodo, le azioni di tali società sono state di proprietà del Ministero del Tesoro, che in alcuni casi ne detiene ancora la maggioranza. Successivamente, anche le Agenzie fiscali (Entrate, Demanio, Dogane e Monopoli), l’Anas, tante municipalizzate sono state trasformate.
Le privatizzazioni sono state (e vengono ancor oggi riproposte) come un rimedio per superare una congiuntura economica sfavorevole. Quelle degli anni Novanta furono dovute anche alle indicazioni della Comunità europea, che imputava all’Italia troppo assistenzialismo statale per le imprese. Sono state un fenomeno politico e sociale, di governo dell’economia e dell’organizzazione dello Stato. Ovviamente, e a questo il legislatore non aveva pensato, le trasformazioni giuridiche hanno comportato un impatto significativo sugli archivi: l’amministrazione archivistica si è trovata di fronte ad un nuovo problema di tutela e salvaguardia, da affrontare con gli strumenti legislativi allora a disposizione, poiché tutte queste istituzioni passarono dal regime giuridico pubblico a quello privatistico.
Solo con il successivo d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, si è riconosciuto che i beni di tali enti “rimangono sottoposti a tutela anche quando i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica” (art. 13).
Poiché la sede legale della quasi totalità degli enti privatizzati si trovava e si trova a Roma, la Soprintendenza archivistica per il Lazio, sotto la guida dell’allora soprintendente Lucia Principe, che ringrazio per la sua grande competenza e capacità, ha provveduto ad emettere una cospicua serie di provvedimenti di notifica del “notevole interesse storico” dei complessi documentari prodotti da quegli enti. In quel momento, tra il 1992 e il 1995, precedente anche al parere del Consiglio di Stato dell’8 ottobre 1997 (n.2653/94), che riconosceva che “la trasformazione della natura di un ente da pubblico a privato non incide sul regime dell’archivio”, la dichiarazione era l’unico strumento utilizzabile per salvaguardare patrimoni archivistici di incommensurabile valore per la comunità.
Ci siamo trovati in una congiuntura eccezionale, avevamo il dovere di conservare per il futuro fonti documentarie fondamentali per la conoscenza e lo studio di periodi cruciali per la storia economica, sociale e di sviluppo territoriale della nazione. Ciò è stato possibile per l’incontro di intelligenze e sensibilità che miravano a perseguire uno stesso obiettivo. Sono stati infatti, la maggior parte delle volte, i titolari responsabili degli archivi degli enti privatizzati, dimostrando una maturità culturale che fa loro onore, a sollecitare, al momento della trasformazione, un aiuto per pervenire alla definizione dello status della documentazione, onde scongiurarne la dispersione e lo smembramento. La Soprintendenza ha provveduto alle dichiarazioni di notevole interesse storico, relative alla documentazione prodotta durante il regime giuridico pubblicistico estesa anche a quello successivo, non essendo ovviamente possibile operare una cesura tra il vecchio e il nuovo, continuando l’ente, divenuto privato, a svolgere la stessa attività di quello pubblico, cioè gestire un servizio pubblico per la comunità.
Già Lucia Principe, nel 1993, notava di non sapere se tale procedura sia stata corretta dal punto di vista giuridico-amministrativo, ma in quel momento, ripeto, era l’unico strumento a disposizione; la Soprintendente già prefigurava l’istituzione per legge della figura del conservatore dell’archivio storico, a garanzia dell’integrità del complesso documentario, poi recepita in provvedimenti successivi.
Senza dubbio quel momento tumultuoso ha avuto molte conseguenze positive, che non ci sarebbero state senza quel coraggio dimostrato dall’una e dall’altra parte. L’istituzione degli archivi storici dell’Eni, dell’Iri (poi depositato all’Archivio centrale dello Stato), dell’Ina, dell’Enel, della BNL, dell’IMI, dell’ATER, il recupero di gran parte della documentazione storica della Cassa per il Mezzogiorno (divenuta Agensud, ora anch’essa all’ACS), e di tanti altri, non sarebbero stati possibili senza un grande lavoro di squadra, di stretta collaborazione e di condivisione dei metodi e degli obiettivi, un lavoro di sponda tra la Soprintendenza e i responsabili degli archivi interni agli enti, nel rispetto delle reciproche esigenze e difficoltà, senza mai abdicare al proprio ruolo o perdere di vista il rispetto della legge, ma offrendo, da parte della Soprintendenza, tutta l’assistenza e il sostegno possibili a superare reticenze, impedimenti e complicazioni che potevano manifestarsi all’interno degli enti. Il compito e la responsabilità della Soprintendenza sono stati quelli di supportare i titolari di quegli archivi nella molto spesso difficile impresa di convincere l’alta dirigenza della grande importanza dei patrimoni documentari posseduti e fargliene riconoscere il valore storico e sociale, un compito ed una responsabilità che caratterizzano e rendono affascinante il lavoro in quell’Istituto.
Mi rendo conto di quanto sia stato ricco il mio percorso lavorativo soprattutto dal punto di vista umano: dietro ad ogni archivio ci sono una o più persone, che determinano la sopravvivenza di quella memoria, di quella storia, di quell’ente. Se si stabilisce una empatia reciproca, e a me è successo innumerevoli volte, tra, diciamo così, il vigilante e il vigilato, l’attività di vigilanza si può svolgere senza difficoltà e senza antipatiche e controproducenti imposizioni, raggiungendo obiettivi insperati con un minimo ragionevole sforzo da ambedue i fronti, garantendo così a tutti la conservazione e la fruizione di immensi patrimoni documentari.
Senza dubbio non in tutti casi le esperienze sono state positive o sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati; talvolta la pazienza e la costanza sono state premiate sul lungo periodo, e in questi casi la soddisfazione è stata anche maggiore. Due recenti casi molto positivi, che ho seguito poco prima del mio pensionamento, sono stati quello dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, dove è stato ordinato ed inventariato l’archivio dell’Officina Carte Valori, oggetto anche di una bella mostra, e quello dell’Azienda agricola di Maccarese, il cui archivio storico è stato recuperato ed inventariato a cura della famiglia Benetton, proprietaria dell’azienda, e che è stato dichiarato di particolare importanza. Si trova ora in un’ala appositamente restaurata e dedicata del castello di Maccarese, ed è stato intitolato ad un membro della famiglia da poco scomparso.
Per concludere, posso dire che in tutti questi anni di esperienza nel lavoro di vigilanza e tutela in Soprintendenza, ho acquisito la consapevolezza che i migliori risultati sono stati raggiunti quando si è espressa la capacità di accompagnare gli interlocutori nel riconoscere il valore dell’archivio, e la lungimiranza nell’ascoltare e riconoscere i bisogni e le necessità. Ciò è tanto più importante quando si tratta di archivi d’impresa, pubblici, privati o privatizzati, dove l’istituzione di un archivio storico molto spesso non è il pensiero o la preoccupazione principale dell’alta dirigenza, soprattutto in momenti di grande trasformazione gestionale, giuridica ed amministrativa, o di crisi economica come forse quella che potremmo avere nei prossimi mesi.
Il lavoro non mi è mancato, e ne sono relativamente soddisfatta: sicuramente avrei potuto fare di meglio in tante occasioni. Il lavoro non mancherà a chi ha preso il nostro posto, l’auspicio è che anche per loro sia ricco di successi e soddisfazioni.
Per saperne di più
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, Guida agli archivi economici a Roma e nel Lazio, a cura di M. GUERCIO, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1987 (Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, 54).
L’outsourcing nei servizi archivistici. Linee guida per operare una scelta
Gli archivi economici a Roma, Fonti e ricerche. Atti della giornata di studio, Roma, 14 dicembre 1993, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1997 (Quaderni della RAS, 78).
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI, La Società Generale Immobiliare – SOGENE. Storia, archivio, testimonianze, Atti della giornata di studio, Roma, Archivio centrale dello Stato, 16 novembre 2000, a cura di Paola Puzzuoli, Roma, Palombi, 2003.
Archivio della Società Birra Peroni. Inventario, a cura di Daniela Brignone, Roma, Ministero dei beni e le attività culturali, Direzione generale degli archivi, (Strumenti, 147).
Archivio storico Birra Peroni
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, COMUNE DI CIVITA CASTELLANA, Guida agli archivi storici delle imprese ceramiche del Distretto industriale di Civita Castellana, Primo censimento, a cura di Francesco Fochetti, Civita Castellana 2006.
Il Distretto industriale di Civita Castellana, a cura di Francesco Fochetti e di Maria Emanuela Marinelli, nel Portale degli archivi di’impresa
ABI, Linee guida per la selezione dei documenti negli archivi delle banche, Roma, Bancaria editrice, 2004.
IMI SPA, Guida all’Archivio storico dell’Istituto Mobiliare Italiano SpA, Roma 1998.
MARIA EMANUELA MARINELLI, Le privatizzazioni e i loro riflessi sulla tutela degli archivi, in «RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO», n. s. III (2007), 1, pp. 171-179.
Archivio dell’azienda Maccarese