Nel periodo successivo all’Unità d’Italia le miniere hanno costituito quasi l’unica forma di industria presente in Sardegna, dove erano concentrate principalmente nel bacino dell’Iglesiente e sono state gestite da società prevalentemente di origine straniera, che hanno operato con un atteggiamento “colonialistico”, reinvestendo il più delle volte all’estero i capitali maturati in Sardegna, affidando le attività più rilevanti a persone non dell’isola, procedendo a un’azione scriteriata di disboscamento delle foreste circostanti.
La grande crisi dei primi anni ’90 dell’Ottocento ha riversato nelle miniere un elevato numero di pastori e braccianti agricoli, molti dei quali vengono impiegati per lavori di fatica e in mansioni collaterali rispetto al vero e proprio lavoro del minatore (boscaioli, carbonai, etc.), mentre la manodopera qualificata, retribuita meglio e vista quasi come una sorta di aristocrazia operaia, di solito è di origine continentale.
Alla situazione di sfruttamento si aggiungono le condizioni malsane dell’ambiente di lavoro, causa della diffusione di malattie quali bronchiti, enfisema polmonare, scabbia, dolori reumatici, provocate dal lungo periodo trascorso nelle gallerie di miniera e dalla totale mancanza di misure igieniche. Basti pensare che gli operai non venivano dotati neppure delle mascherine antipolvere a difesa dalle polveri tossiche. Difficilmente un operaio sardo superava i 60 anni e già a 44 raggiungeva uno stato di semi invalidità. Dalla prima indagine compiuta con un certo criterio scientifico, quella svolta da Quintino Sella nel 1870, emerge lo scenario drammatico di prestatori di lavoro mal nutriti e sotto pagati, in precarie condizioni igieniche e di salute, che alloggiano in cameroni e vivono in condizioni del tutto simili a quelle dei lavoratori forzati. I ripetuti ritardi nella corresponsione del salario costringono gli operai a contrarre debiti (detratti peraltro al momento della paga dallo stesso salario) ad altissimo tasso d’interesse presso gli spacci e le cantine, appartenenti alle stesse direzioni minerarie, per acquistare i generi di prima necessità, tra i quali anche gli strumenti di lavoro o l’olio per le lampade da utilizzare nelle miniere.
Accanto a questa dimensione tragica, la miniera fu anche luogo di progresso tecnologico e alle attività estrattive se ne affiancarono ben presto altre, dalla metallurgia alla produzione di energia elettrica, alla realizzazione di impianti per il prosciugamento della falde acquifere e alla costituzione di ferrovie private.
Con la fermata degli impianti negli anni Novanta del Novecento si è chiusa un’epoca importante per la storia e la vita del territorio e l’impatto emotivo ha coinvolto gran parte delle persone, culminando nell’occupazione di Pozzo Sella, dove si sono concentrate le proteste, ma anche tante attività culturali, accompagnate da iniziative di solidarietà collettiva. Da quell’esperienza sono nati due istituti culturali, il Parco geominerario e l’Archivio storico minerario, sorti per la necessità di tutelare, recuperare e valorizzare le risorse storiche e geologiche esistenti, rendendo il patrimonio fruibile alla collettività e riconvertendo in quest’operazione le forze lavorative rimaste senza occupazione.
La vicenda dell’archivio storico di Monteponi segue la complessa storia della società, passata nel corso degli ultimi quarant’anni tra continue trasformazioni, fusioni e liquidazioni: la documentazione subisce tra 1976 e il 1986 numerosi spostamenti, frazionamenti e rimaneggiamenti, che portano alla perdita della fisionomia originaria del fondo e, in taluni casi, anche ad appropriazioni indebite di materiali dell’archivio, dispersioni e donazioni ad altri enti. L’alternarsi delle aziende, la mancanza di consapevolezza del patrimonio storico e culturale e successivamente l’affidamento pressoché esclusivo della gestione nelle mani di persone non adeguatamente formate scientificamente hanno portato ad una serie di danni: gli scorpori, le cessioni ad altre amministrazioni spesso non in grado di garantire le spese per la tutela, e riordini sommari fatti per materia hanno contribuito oggi a rendere difficile la ricostruzione del filo logico che unisce i vari passaggi societari.
Accanto alle perdite sono però da registrare numerosissime donazioni sia di documenti, fotografie, carte minerarie, relazioni, mappe catastali, che di attrezzature, collezioni di minerali, macchine da stampa e calcolatori, che negli anni hanno costituito una piccola collezione museale.
Il 23 settembre 1994 la Soprintendenza archivistica per la Sardegna ha riconosciuto il notevole interesse culturale della documentazione degli archivi della ex Società italiana miniere e nel settembre 2000 si è dato il via al percorso che avrebbe portato nel giro di dieci anni a spostare l’intero complesso archivistico presso l’edificio ottocentesco che ospitava il magazzino centrale della Miniera di Monteponi, che da sempre è stata un punto di riferimento per l’attività mineraria e per l’evoluzione delle tecnologie estrattive e di trattamento.
Al termine dei lavori di riqualificazione dell’immobile, nel 2011 vengono trasferiti a Monteponi i primi 900 metri lineari di documentazione su un totale di circa 7 chilometri lineari, che si trovavano distribuiti tra gli altri depositi d’archivio e le sedi direzionali delle miniere di Funtana Raminosa a Gadoni (Nuoro), Sos Enattos a Lula (Nuoro), Su Suergiu – Villasalto e Montevecchio a Guspini, nel sud Sardegna.
I necessari interventi di riordinamento e inventariazione, subito avviati, sono proseguiti con lentezza e hanno subito interruzioni a causa delle scarse risorse e del personale insufficiente e spesso inadeguato, ma grazie al sostegno della Soprintendenza archivistica e del Banco di Sardegna sono attualmente censiti in maniera sommaria circa 7000 metri lineari. Inoltre, nel gennaio 2017 ha preso servizio un archivista specializzato, assunto a seguito di regolare concorso e da quel momento è stato possibile procedere nell’attività di riordinamento e inventariazione, che, affiancata da progetti di digitalizzazione, costituisce l’impegno prioritario per dare quanto prima agli utenti degli strumenti efficaci per la consultazione e la fruizione del patrimonio documentario,
La documentazione conservata presso l’Archivio storico minerario copre un arco cronologico che va dalla metà del sec. XIX al 2015 ed ha una consistenza approssimativa di oltre 64.000 unità archivistiche.
Si contano migliaia di elaborati tecnici e piani minerari, che descrivono l'evoluzione dei lavori in sotterraneo ed a giorno; planimetrie e sezioni dei giacimenti, delle gallerie e pozzi di estrazione nelle varie fasi temporali dell'attività.
Di assoluto rilievo la cartografia tecnica, che riguarda gli impianti, i macchinari, gli edifici industriali e civili, gli studi geo-giacimentologici, spesso accompagnati da relazioni illustrative e dall'esposizione di studi di dettaglio e rapporti tecnici.
Imponente la quantità di documentazione amministrativa e tecnico-amministrativa relativa al personale, agli acquisti, alle vendite, ai bilanci, alle produzioni, ai rapporti interni, alla corrispondenza tra società e tra le società e l'esterno.
Infine le serie riguardanti i rapporti di miniera, importanti per descrivere sia i progressi tecnici nell’ambito delle attività, sia la vita dei dipendenti, le serie dei fascicoli del personale e i libri matricola, che in poche righe riescono a riassumere un’intera vita lavorativa, talvolta anche fino alla morte del dipendente per malattia o per incidente sul lavoro.
Del patrimonio fanno parte inoltre più di 2000 modelli in legno realizzati da falegnami modellisti tra il 1900 e il 1981, custoditi in un locale adiacente allo stesso archivio minerario, che sono stati inseriti nel vincolo apposto dalla Soprintendenza archivistica e di cui è in corso l’inventario per una prossima valorizzazione.
Agli archivi si affianca una biblioteca tematica di notevole interesse, formata da libri di ingegneria, economia e diritto e da oltre 20.000 riviste tecniche e scientifiche provenienti da ogni parte del mondo.
Di questo ultimo trentennio di storia degli archivi minerari, oltre ad un patrimonio immenso, rimane l’azione meritoria svolta da alcuni operai e impiegati, che spesso sfidando luoghi pericolosi (come la palazzina Delunay, soggetta a pericoli e crolli) hanno recuperato documenti soggetti a intemperie e ad atti predatori.
Questo archivio è un omaggio alla loro storia e alla loro memoria.
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Per saperne di più
Mostra documentaria: Filoni di ricerca (Soprintendenza archivistica per la Sardegna 2004) nel Portale degli archivi d’impresa
Mostra documentaria: I magazzini della memoria (Soprintendenza archivistica per la Sardegna 2004) nel Portale degli archivi d’impresa